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Divorzio e soldi: fino a quando si può percepire l’assegno?

Il caso di Agata e la pensione di reversibilità


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Agata è una gentile signora di quasi 80 anni che ha divorziato da Giovanni ormai 30 anni fa; un divorzio tribolato, soprattutto per i genitori di lui che non gradivano la dissoluzione dell’unione coniugale.


Un matrimonio del passato, realizzato più per volere delle famiglie che per un reale sentimento: divenuti più consapevoli e adulti, Agata e Giovanni avevano deciso quindi di lasciarsi.


Complice il reciproco rispetto e stima, i due sono sempre andati d’accordo e, pur essendo lontani, non hanno mai smesso di sentirsi, sebbene accadesse in occasioni formali: festività natalizie, compleanni.


Entrambi non si sono più risposati; Agata ci ha confessato di essere una “single” convinta e, pur non avendolo conosciuto, riteniamo che, almeno dai racconti di Agata, anche lui lo fosse.


Eh sì, come avrete intuito parliamo di lui al passato perché purtroppo è venuto a mancare.

Agata, già nostra cliente, ci ha raccontato di questo episodio della sua vita e ci ha chiesto se l’assegno di divorzio che percepisce da 30 anni debba cessare visto il decesso dell’ex coniuge.


Ricordiamo che al momento del divorzio, i coniugi (ormai ex) decadono dai diritti successori a favore dell’altro; nel senso che, il vincolo matrimoniale si scioglie e l’uno non diventa erede dell’altro.


Ci sono però alcuni diritti che permangono: la pensione di reversibilità dell’ex coniuge e l’assegno di divorzio a carico dell’eredità.


La legge riconosce al coniuge divorziato il diritto a ricevere la pensione di reversibilità dell’ex coniuge ad una serie di condizioni. Non deve essersi risposato, deve percepire l’assegno divorzile e soprattutto il rapporto di lavoro da cui trae origini la pensione di reversibilità deve essere antecedente alla pronuncia di divorzio.


Il coniuge superstite può anche vantare un diritto, sempre che non sia passato a nuove nozze e percepisca un assegno divorzile, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto, ossia il TFR, percepita dall’altro coniuge all’atto di cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza.


La percentuale riconosciuta è pari al 40% dell’indennità totale riferita agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso col matrimonio.


Per quanto riguarda l’assegno divorzile dobbiamo fare una distinzione: nel caso di assegno una tantum ossia in un’unica soluzione, il coniuge superstite non vanta alcuna pretesa.

Nel caso in cui, come Agata, il coniuge superstite fosse percettore di un assegno mensile divorzile, potremo parlare di assegno a carico dell’eredità che però non è automatico.


Per questo motivo, interviene il giudice: deve verificare se il coniuge superstite ne abbia effettivamente bisogno, considerate le generali condizioni economiche, il TFR, la pensione di reversibilità percepita e la presenza di eventuali eredi.


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